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Sport | 18 luglio 2024, 21:10

Fabio Casartelli è vivo e pedala insieme a noi

Le lacrime di Adriano De Zan, il ricordo di Teo Parini

Fabio Casartelli è vivo e pedala insieme a noi

In telecronaca, un uomo tutto d’un pezzo, ciclismo e competenza come il compianto Adriano De Zan non riesce a trattenere le lacrime. Sembra ieri, invece è un maledetto pomeriggio di quasi trent’anni fa. 18 luglio, il caldo è micidiale un po’ ovunque ma se hai la necessità di tagliare in due i Midi-Pirenei in sella ad una bicicletta la sensazione rasenta l’insopportabile.

Ecosistema meraviglioso proprio perché a tratti inospitale, come se volesse ricordare all’uomo che a comandare è sempre la natura, benché quest’ultimo si affanni per imporsi. Il nastro d’asfalto da queste parti è una linea collosa senza soluzione di continuità, sale e scende, e per i corridori sta a significare che le ore di passione saranno tante, troppe per alcuni di loro. Niente di nuovo, non c’è Tour de France senza la tappa pirenaica e non c’è tappa pirenaica senza il sole che brucia la pelle e la polvere che sale nel respiro. L’orografia, sinusoidale per genesi, detta un percorso che consta di una successione di scollinamenti il cui nome è familiarità. Insomma, la carovana gialla qui vi passa spesso, contribuendo a fare di questo spaccato di mondo un mito e viceversa.

Sembra impossibile ma ci sono ciclisti che vivono nella spasmodica attesa di giornate come questa. Tipi strani, gente di cuore e fatica, sublimatori seriali della sofferenza quale lasciapassare per la gloria. Uno di questi è pure transalpino, corre sulle strade di casa e i connazionali lo venerano. Richard Virenque è due cose: scalatore di razza e sognatore. In salita fila come un treno e, nonostante Indurain sia essere mitologico e pure invincibile, spera sempre di arrivare un giorno a Parigi prima di tutti. Infatti, è già in fuga, nemmeno il tempo di partire e la sua sagoma fa già da battistrada. L’altro, transalpino non è ma i cugini, che notoriamente ci detestano per quella forma esagerata di campanilismo che li pervade, per Claudio Chiappucci detto il Diablo provano amore incondizionato. Perché ha un coraggio che sposta le montagne e, forse anche più di Virenque, incarna il prototipo di cavaliere errante. Quello che le reiterate sconfitte fortificano e che alla sfortuna risponde sempre con la caparbietà che commuove. Manco a dirlo, anche Claudió, con l’accento finale come piace ai francesi, di buon ora è già in fermento. La tappa, insomma, è affare loro o, comunque, ci piace pensare sia così. Irrefrenabile romanticismo.

La prima salita da affrontare è il Portet d’Aspet, inutile dirlo, un nome noto. La vetta non è troppo alta, poco più di mille metri sul livello degli oceani, ma la discesa è quella che i tecnici definiscono tecnica. En passant, Richard e Claudio sono anche due discesisti formidabili e questa dimestichezza li avvicina ancor di più al tifo del popolo del ciclismo. In discesa, però, è tutta una questione di istanti. Disegnare curve lungo una picchiata a cento all’ora governando ruote spesse un centimetro è, insieme, uno schiaffo agli assiomi della fisica classica e una prerogativa dei ciclisti professionisti. Che hanno bene in mente un concetto: qualcosa può sempre andare storto. In più, se il casco ben allacciato in testa, oggi, è una benedetta consuetudine, all’epoca era ancora sostituito dal classico cappellino con la visiera ridotta, retaggio culturale del ciclismo pionieristico degli albori. Portet d’Aspet, quindi.

A fare le traiettorie è un carneade, tale Rezze, che prende lunga una frenata e senza il tempo di rendersi conto si ritrova giù nella scarpata con il femore in frantumi. Dietro di lui, tratti in inganno dal suo errore di valutazione, tre califfi del pedale come Perini, Museeuw e Breukink – il lupo del Gavia, per chi se lo ricorda – finiscono in terra ma senza particolari conseguenze. Va decisamente peggio a Baldinger a cui il capitombolo costa la frattura del bacino. Ad essere coinvolto, però, è anche Fabio Casartelli. Venticinque anni, campione olimpico in carica e speranza italiana in rampa di lancio. La caduta non è di quelle teoricamente più impressionanti ma a renderla la peggiore possibile è la presenza di una pietra segnavia che delimita la carreggiata nelle strade di montagna. Fabio impatta in maniera brutale con il capo. Richard e Claudio, intanto, proseguono pancia a terra nel loro proposito bellicoso perché, ancora, non è dato sapere nulla. Anche se l’espressione del dottor Porte, l’angelo custode dei corridori, è foriera di presagi nefasti. Fabio, in fretta e furia viene caricato sull’elisoccorso, ma già in volo il suo cuore per tre volte smette di battere e per tre volte viene riportato alla vita dai sanitari che lo scortano. La corsa, malauguratamente ma solo solo col senno del poi, prosegue mentre Fabio, giunto in ospedale appeso a un filo, chiuderà per sempre gli occhi da lì a poco. É la voce rotta dall’emozione di De Zan ad annunciarlo agli aficionados in visione.

Il più iconico narratore di ciclismo della nostra storia televisiva che, con riconosciuta sensibilità, si scusa per non aver saputo trattenere le lacrime nel momento in cui, per la verità, si piange un po’ tutti. Voce indimenticabile, la sua, di un pomeriggio destinato all’epica ciclistica e che ha finito per rivelarsi una delle pagine più tristi delle nostre vite spese scalciando il più forte possibile sulle pedivelle. Fabio aveva festeggiato solo poco tempo prima la nascita del primo figlio, Marco, che al pari di Annalisa, la moglie, non lo rivedranno più a casa.

Passare oggi, ventinove anni più tardi, dal luogo dell’incidente significa imbattersi in una stele eretta a memoria dello sfortunato ragazzo di Albese e in una moltitudine di fiori adagiati da una successione inesausta di routard che da quel giorno non hanno mai smesso di far sentire a Fabio, ovunque esso sia, tutto l’affetto che c’è. Sebbene il ciclismo, con tutti i suoi attori, non sempre abbia dato di sé la versione più edificante, e talvolta ci siamo financo sentiti traditi, custodisce gelosamente una regola non scritta che significa appartenenza. Il ciclismo, infatti, non si dimentica mai di chi si è speso anima e corpo per renderlo una disciplina meravigliosa. Mi raccomando, Fabio, continua a pedalare, perché se smetti tu smettiamo anche noi.

Teo Parini - da TicinoNotizie.it

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