Sport - 30 ottobre 2023, 17:29

Tennis: il trionfo di Sinner a Vienna, più dolce di una Sacher… Di Teo Parini

Se fino a ieri si era soliti puntare il dito, e spesso a ragione, sull'insufficiente resistenza fisica e sulla poca affidabilità di un colpo fondamentale a certi livelli come il servizio, le ultime esibizioni hanno palesato un incontrovertibile cambio di rotta

Tennis: il trionfo di Sinner a Vienna, più dolce di una Sacher… Di Teo Parini

Mentre Nicola Pietrangeli, imperterrito, continua a rivendicare una supremazia tutt’altro che dimostrabile nella storia del tennis italiano e Adriano Panatta gli risponde a tono, peraltro con più di una ragione in mano, c’è un azzurro che presto metterà tutti d’accordo, Jannik Sinner, fresco vincitore del torneo di Vienna. Con quello di ieri, fanno dieci in carriera come Panatta, appunto, e uno più di Fognini, sempre a proposito di statistiche. Se la kermesse austriaca non sarà Wimbledon in quanto a prestigio, l’autorità con la quale l’altoatesino si è imposto su gente assai poco raccomandabile come Shelton, Tiafoe e soprattutto Medvedev in finale, l’ex bestia nera, ne fa una settimana di entusiasmante valore. Quarto posto nel ranking mondiale blindato fino al termine della stagione con il podio nel mirino e fiducia a mille per gli ultimi due grandi appuntamenti di questo 2023, Parigi-Bercy e ATP Finals, il master.

Sinner, ventidue anni, non ha avuto la precocità di Alcaraz nell’arrivare sui livelli di eccellenza ma, un pezzetto alla volta, ha maturato i crediti per iscriversi alla stesso esclusivo club del fenomeno spagnolo: in questo momento, infatti, quattro tennisti al mondo hanno qualcosa in più di tutti gli altri e Jannik è uno di loro. Una stagione, la sua, già da cinquantacinque vittorie in incontri di singolare, altro record azzurro in condivisione con Barazzutti ma ancora per poco. Con il successo in un Mille, il primo ma non ultimo della sua vita sportiva, la semifinale a Wimbledon e gli scalpi dei giocatori più forti ottenuti con una certa continuità, si può dire che la missione del 2023 sia da considerarsi raggiunta, con la possibilità di far valere le proprie credenziali anche nelle imminenti Finals di Torino, dove ad attenderlo saranno i sette migliori giocatori al mondo in quanto a risultati conseguiti negli ultimi dodici mesi. Insomma, nessuno si stupirebbe più di tanto se fosse proprio Sinner il ‘Maestro’ di quest’anno, stante il periodo non proprio esaltante di Alcaraz, che resta giocatore epocale ma il serbatoio è prossimo a svuotarsi, e l’incognita Djokovic, fermo ormai da diverse settimane e ormai focalizzato per anagrafica al solo record di vittorie Slam. Torino, quindi, potrebbe già chiarire ai duellanti storici del tennis azzurro, Pietrangeli e Panatta, che c’è un tempo per tutti e che i record sono fatti per essere battuti.

Tornando a ieri, Sinner e Medvedev, confermando quelle che sono le loro migliori qualità, hanno dato vita ad una partita più intensa che bella ma di innegabile peso specifico. Non è certo da loro che è lecito aspettarsi variazioni sul tema precostituito, quindi ritmo forsennato e furiosi scambi sulle diagonali, anche se Sinner qualche sortita improvvisa a rete, non sempre eseguita alla perfezione, l’ha fatta vedere, più che altro per tenere il russo e la sua assurda posizione in risposta sulle spine. L’incrocio tra i due colossi è chiaro: da una parte, un colpitore eccezionale come Sinner che stuzzica; dall’altra, un contrattaccante altrettanto eccezionale come Medvedev. Pulizia di stile, fluidità e sensazione di facilità di uscita della pallina dalle corde, per un Sinner che sembra uscito dalla scuola cecoslovacca degli anni ottanta; incedere sgraziato, perpetuo litigio con l’equilibrio e capacità scientifica di restituire la pariglia, per Medvedev. Risultato, tre set di rara intensità agonistica e acceleratore pigiato a tavoletta che hanno premiato l’azzurro, bravo a prendersi la giusta dose di rischio nei momenti importanti e di alzare il livello anche con il servizio in chiusura dei parziali poi vinti. Ciò, a fare da contraltare a un Medvedev forse un po’ troppo attendista in alcune circostanze che si sono rivelate decisive. Un azzardo tattico su un campo piuttosto veloce come quello di Vienna e contro un giocatore che se lasciato aggredire ogni palla diventa letale.

Panatta, la mano baciata dagli dèi, una personalità da prima donna, la ‘veronica’ quale lascito balistico al mondo del tennis, il 1976 di gloria con la t-shirt rossa nella bolgia cilena e la coppa dei moschettieri sollevata sotto al cielo di Parigi e, non da meno, l’eco delle sue notti romane di un’epoca forse irripetibile, tra donne meravigliose e calici sempre colmi di champagne, restano qualcosa di non pareggiabile, nemmeno per un giocatore formidabile come Sinner che, probabilmente, alla pensione ci arriverà con un palmares superiore. Questione di gusti, almeno i nostri, e di predilezione per la supremazia del bello sul vincente, in campo e fuori. Questo non toglie che Jannik sia ascrivibile tra gli sfacciati colpi di fortuna di una federazione, una manna dal cielo per un movimento, quello azzurro, che da quasi cinquant’anni non fa che vedere vincere sempre gli altri quando più conta.

In tal senso, a fare dormire sonni sereni c’è un’attitudine maniacale per il lavoro quotidiano e una determinazione ferrea nell’inseguire le ambizioni, la cui somma fa di Sinner il prototipo del tennista che avrà sempre il modo di dare di sé la migliore versione possibile. Uno che è pronto a sacrificare ogni aspetto dei vent’anni sull’altare del tennis. I progressi, per chi li vuole vedere, sono costanti e i margini di crescita ancora abbondanti. Se fino a ieri si era soliti puntare il dito, e spesso a ragione, sull’insufficiente resistenza fisica e sulla poca affidabilità di un colpo fondamentale a certi livelli come il servizio, le ultime esibizioni hanno palesato un incontrovertibile cambio di rotta. Da rivedere sui cinque set, dove i problemi si acuiscono per tutti, ma la prestazione in crescendo fisico e mentale di ieri, infarcita di servizi chirurgici nei momenti cruciali del match come nel tie-break che ha chiuso il primo parziale, sono due indizi pesanti. Il lavoro paga, se poi a dirigerlo è un califfo come il coach Cahill, senza dimenticare il prezioso contributo di Vagnozzi, ancora meglio. Work in progress, anche dopo una vittoria.

Sarà banale a dirsi, ma i successi più significativi per Sinner devono ancora venire, con Pietrangeli che finalmente finirà per mettersi l’anima in pace, si spera, per una volta più contento che invidioso. E mentre noi siamo qui a parlarne, Jannik ha già sottolineato di rosso il prossimo obiettivo. Senza perdere tempo, come solo i campioni amano fare.

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